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CARIATI: LA STORIA D’AMORE DI IZIEGBE

Costretta a fuggire con il compagno per non essere uccisa dai suoi genitori.

I racconti di una donna nigeriana ospite del progetto Sprar

(“Il Quotidiano del Sud” 16.12.17) di Maria Scorpiniti

CARIATI – Una storia d’amore contrastata dalla sua famiglia, quella di Iziegbe Enofe, 33 anni. In Occidente è normalità, in Nigeria può costare la vita. La donna, due anni fa, è stata costretta a fuggire dal suo paese insieme all’uomo di cui si era innamorata perché i suoi genitori li volevano uccidere entrambi, un odio derivante dalla diversa estrazione sociale delle rispettive famiglie e dalla precaria situazione di salute dell’uomo. In Africa, Iziegbe ha lasciato un pezzo del suo cuore, il figlio che ora ha sette anni. La donna, quattro mesi fa, è diventata mamma per la seconda volta di una splendida bambina dagli occhi vispi e nerissimi.

Non ha problemi a raccontarsi, ora che, lontana dai pericoli, si sente protetta dallo Stato italiano. L’abbiamo incontrata nel centro sociale, punto di ritrovo dei migranti giunti a Cariati con il progetto di seconda accoglienza Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) del Ministero dell’Interno, cui il Comune ha aderito. Sono in tutto 36, distribuiti in piccoli nuclei familiari nei diversi quartieri, provenienti dall’Africa, dall’Iraq e da altri Paesi del Medioriente, dove sussistono tuttora conflitti e situazioni di estrema povertà. Emanuela Graziani, mediatrice culturale e responsabile del progetto di accoglienza diffusa e di accompagnamento verso l’autonomia sociale e lavorativa di questi particolari migranti, attuato dalla cooperativa Agorà Kroton, ci fa da interprete poiché Iziegbe riesce ad esprimersi in un corretto inglese.

Come sei arrivata in Italia?

Sono partita due anni fa dalla Libia su un grosso barcone stracolmo di persone che, come me, fuggivano dalla loro nazione. Siamo stati salvati in mare ad Augusta, in Sicilia.

Quali sono state le tappe prima di arrivare qui?

Il giorno dopo l’arrivo in Sicilia, siamo stati trasferiti al Centro di prima accoglienza (Cara) di Crotone, dove siamo rimasti per 11 mesi in attesa dei documenti. Dopo un breve periodo a Napoli, dov’è nata la nostra bambina, abbiamo deciso di tornare a Crotone. Senza casa e senza lavoro, dormivamo in stazione. Per i suoi problemi di salute, mio marito doveva recarsi spesso presso l’ospedale di Crotone e i medici, venuti a conoscenza della nostra situazione di precarietà, ci hanno aiutati inserendoci nel progetto Fami (Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione) in rete con l’Asp, quindi la richiesta di entrare nel sistema di protezione Sprar.

Come sei stata accolta a Cariati?

Sono stata accolta in maniera amorevole, meglio delle città dove sono stata prima. La gente ci tratta bene, ci aiuta. Insieme agli altri, frequento il corso serale di lingua italiana dell’Istituto Comprensivo e la chiesa Evangelica che si trova a Cariati.

Qual è il desiderio più grande per il tuo futuro?

Desidero vivere una buona vita e riabbracciare il figlio che ho lasciato da mia madre in Nigeria. Vorrei portarlo in Italia, ma la procedura è molto complicata.