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Covid meno virulento? E’ presto per dirlo. La parola all’esperta, la dott.ssa Valentina Mingrone

L’estate sta finendo e un anno se ne va” cantavano i Righeira nell’estate del 1985 in sottofondo a locali ormai semivuoti e lidi con ombrelloni non più svolazzanti. Nel 2020, trentacinque anni dopo, ci lasciamo alle spalle un’estate eccezionale; molti meno turisti ad affollare le località balneari del Bel Paese e molta prudenza garantita dal distanziamento e dall’uso delle mascherine. L’eccezione ha riguardato le discoteche e i locali notturni che rappresentano una fetta importante del divertimento che le vacanze estive “impongono”. Mantenere ordine e distanze in questi luoghi è sicuramente impegnativo e forse utopistico, tanto da domandarsi, alla luce dei nuovi contagi e focolai della Sardegna, se fosse giusto riaprirle. Dalle discoteche prontamente chiuse, il problema si sposta ora alla gestione di questi nuovi contagi e il contenimento dei focolai. A questo proposito mi sono rivolta alla dottoressa Valentina Mingrone specializzanda della “Facoltà di Igiene e Medicina Preventiva” all’Università di Modena per saperne di più.

Dottoressa Valentina Mingrone

Il tuo è un lavoro incessante partito non appena è iniziato il lockdown, ma in cosa consiste e come è articolato?

In quanto specializzanda di Igiene ho avuto la possibilità di frequentare il Servizio di Igiene Pubblica (SIP) della città di Modena e di dare il mio contributo nella gestione dell’emergenza. Nello specifico mi sono occupata delle famose inchieste epidemiologiche cioè di contattare chi risultava positivo al tampone per Sars-Cov-2, accertarmi del suo stato di salute, e di ricostruire assieme a lui gli eventi dei giorni precedenti la comparsa dei sintomi. Tutto ciò allo scopo di identificare possibili fonti di contagio e di effettuare il cosiddetto contact tracing, cioè di tracciare eventuali possibili contagiati dal caso indice che vengono prontamente contattati e valutati in modo da stabilire l’opportunità di disporre l’isolamento domiciliare fiduciario e il tampone. Il nostro lavoro è quindi votato alla gestione dell’emergenza e alla tutela della salute pubblica. Si tratta di una macchina ormai ben rodata, di cui la parte delle inchieste epidemiologiche rappresenta solo una delle componenti: in sinergia con noi lavorano i medici del lavoro, che si occupano della Sorveglianza sanitaria, cioè di accertarsi dello stato di salute dei casi covid e dei loro contatti nel corso della loro quarantena; gli epidemiologi, che studiano in maniera analitica i dati in modo da consegnare un bollettino periodicamente aggiornato sull’epidemia; professionisti, che offrono un servizio di assistenza telefonica giornaliera alla cittadinanza, in risposta ai dubbi sollevati per esempio dalle decisioni politiche in tema di contenimento dell’infezione; i dirigenti, che si occupano, tra l’altro, del dialogo costante con la Regione, le forze dell’ordine e gli organi di informazione.

Com’è cambiata la gestione del tracciamento dei contatti dagli inizi ad oggi? All’epoca le nostre risorse in tema di tamponi erano rivolte soprattutto ai casi sintomatici gravi a cui la diagnosi di Covid era necessaria per predisporre l’assistenza sanitaria più appropriata. Inoltre gli unici contatti che venivano sottoposti alla nostra attenzione erano famigliari, conviventi, o colleghi di lavoro, in caso di lavoratori di settori di pubblica utilità che hanno continuato ad operare anche nel corso dell’emergenza. Ad oggi, nonostante il notevole ampliamento della rete di contatti di un singolo caso, riusciamo a gestirla molto più rapidamente rispetto all’inizio dell’epidemia e ad offrire immediatamente il tampone a contatti, anche asintomatici, che in piena emergenza non venivano testati. Sicuramente l’attenuazione delle norme anti-covid e le vacanze estive ci hanno portato ad interfacciarci con nuove questioni come per esempio l’individuazione di casi residenti nella nostra provincia, magari nel corso di un periodo di villeggiatura in un’altra regione, con tutti i problemi conseguenti legati alla presa in carico del caso a livello interprovinciale.

Durante questi mesi hai riscontrato casi di resistenza da parte delle persone contagiate nel sottoporsi al tampone o alla quarantena obbligatoria o ha sempre prevalso la collaborazione?

Soprattutto negli ultimi mesi le resistenze da parte dell’utenza sono aumentate. Si è drasticamente modificata la percezione del rischio dell’infezione che per alcuni sembra ormai un problema superato. Questo ha spinto taluni a comportarsi in maniera più superficiale non rispettando le norme di distanziamento sociale, l’uso della mascherina e l’igienizzazione delle mani che rappresentano ad oggi, in attesa di un vaccino efficace, le nostre uniche armi per difenderci dal virus. Di pari passo vanno il rifiuto delle misure di isolamento da parte di, per fortuna, pochi, per i quali l’assenza di sintomi equivale all’assenza di infezione e per coloro i quali non sono più disposti ad accettare limitazioni della propria libertà personale. Per fortuna, nella stragrande maggioranza dei casi, è sufficiente spiegare la gravità della situazione per ritrovare la comprensione dei cittadini a cui pure vengono chiesti sacrifici notevoli, specie con la bella stagione. Ad ogni modo le autorità vengono informate di tutti i provvedimenti di isolamento fiduciario del nostro servizio, che non vengono mai disposti con leggerezza.

Terminata la stagione estiva è tempo di dati e di bilanci, hai riscontrato un aumento di casi di rientro dalle vacanze?

Purtroppo si. In questi giorni in particolare ci stiamo occupando spesso di casi di rientro dalla villeggiatura in Sardegna. Inoltre è possibile sottoporsi gratuitamente al tampone anche se di rientro da Spagna, Grecia e Croazia, nazioni in cui i casi sono molto più numerosi che in Italia.

In merito all’evoluzione della malattia e all’adattamento del virus, vista la maggiore presenza di casi asintomatici, si può dire diminuita la virulenza del covid?

Non ci sono ancora in letteratura delle informazioni certe ed occorre essere prudenti prima di fare affermazioni di questo tipo. È chiaro che l’aumento dei casi tra i giovanissimi abbia condotto ad una riduzione dei casi più gravi e che richiedono l’ospedalizzazione rispetto ai mesi scorsi, durante i quali i nostri anziani sono stati più duramente colpiti. Con oltre 25 milioni di casi confermati nel mondo e quasi 850000 morti è il caso di non abbassare la guardia.

Denise Mele